Marillion "Misplaced Childhood" (1985)
Track list:
1)Pseudo Silk Kimono 2) Kayleigh 3) Lavender 4) Bitter Suite:Brief Encounter/Lost Weekend/Blue Angel/Misplaced Rendezvous/WindsweptThumb 5)Heart of Lothian 6)Waterhole (Expresso Bongo) 7)Lords of the Backstage 8)Blind Curve:Vocal Under a Bloodlight/Passing Strangers/Mylo/Perimeter Walk/Threshold 9)Childhood’s End? 10)White Feather





Estate 1985. In un periodo di grande fermento per il rock, gli stili che stanno dominando il decennio, sono senza dubbio molteplici e mettono spesso al centro le potenzialità dell’elettronica attraverso le sonorità new wave e pop, ma anche quelle di una disco music che aveva allora stilemi di grande eleganza. L’heavy rock sembra avere nuove chance di tornare ai fasti della decade precedente, mentre prosegue la scia dei mega raduni, nata anche questa nei ’70, con folle oceaniche che accorrono ai concerti. Non è un caso che il mitico “Live Aid” di Bob Geldof si concretizzi proprio in questo periodo.
Nonostante la vigorosa vitalità musicale, c’è un genere che sembra rimanere fuori dai giochi, benché abbia dato luminosità e slancio al rock dei primi anni ’70: sto parlando del prog. Una prog band in questo nuovo decennio era da considerarsi quasi merce rara e se nasceva o cercava di proporsi, quasi subito veniva tacciata di pomposità. Esempi illustri presero corpo anche negli States, ma con risultati effimeri. Tante prog band virarono quindi verso un suono più malleabile e melodico per non disperdere quote importanti di fan (Adult - Oriented Rock).
Ecco perché intriga raccontare la storia di un disco che fu uno dei capisaldi della musica anni ’80 e nonostante un’epoca che non esaltava i virtuosismi colti del prog, risultò un successo conclamato riconosciuto ancora oggi e che ho il piacere di ricordare a quarant’anni dall’uscita.
I Marillion, band britannica dal nome ispirato a tolkeniana memoria, furono un esempio di coraggio e dedizione, riuscendo non solo ad inserirsi egregiamente nel contesto complicato di quella fase storica, ma ad ottenere un successo tale da superare ampiamente anche band che in precedenza erano state considerate veri e propri emblemi del prog. Dopo aver dato alla luce due album bellissimi (“Script for a Jester’s Tear” e “Fugazi”) fra 1982 e 1983, i Marillion tornarono in studio nella primavera del 1985 per per un nuovo ambizioso lavoro.
“Misplaced Childhood” viene pubblicato il 17 giugno di quello stesso anno, registrato a Berlino, e vede coinvolto un quintetto di musicisti sopraffini come il vocalist Fish (pseudonimo di Derek William Dick), Steve Rothery alle chitarre, Mark Kelly tastiere, e la ritmica di Pete Trewavas e Ian Mosley rispettivamente a basso e batteria.
Sino dagli esordi si notarono gli accostamenti della band, peraltro mai del tutto sconfessati, alle sonorità di gruppi mitici come VDGG, in parte Pink Floyd e soprattutto Genesis (magari per la teatralità di Fish che ricordava i caratteri del primo Peter Gabriel). Tuttavia, i Marillion seppero ben amalgamare la linea sinfonica di queste band di riferimento con la loro verve fantasiosa e già proiettata verso sonorità più consone agli eighties. Non mancavano le atmosfere evocative e sognanti del primo prog, ma l’uso dei synth, le parti ritmiche, gli assoli elettrici erano assolutamente carichi di estro moderno e innovativo.
“Misplaced Childhood” raccoglie eredità importanti del prog più autentico portando avanti il genere verso orizzonti diversi. È un concept introspettivo, visionario e nostalgico che mette in risalto alcuni aspetti sofferti dell’esistenza umana, ricordando i tempi dell’infanzia, storie d’amore svanite e momenti del quotidiano vissuti con le ansie dell’uomo moderno. Fish, con grande schiettezza, dichiarò di aver ideato questo progetto durante un trip di LSD durato circa dieci ore e voleva che il disco consistesse in un’unica lunghissima suite di oltre 40 minuti, ma non gli fu permesso anche per qualche pressione discografica e si optò per una track list di dieci pezzi. Si percepiscono comunque in ogni anfratto del disco le riprese dei temi che pur costrette a frammentarsi continuano a riecheggiare stabilendo un fil rouge che lega i motivi in modo indissolubile.
La hit che trascinò l’opera verso i picchi clamorosi del successo internazionale fu “Kayleigh”, un brano trascinante che trovò un veicolo potente di diffusione nelle nascenti Video TV. Ricordo a tale proposito tutti i passaggi sulla nostrana Videomusic, fedele compagnia musicale di quegli anni magici.
Risentendo il disco dopo quaranta anni dalla sua pubblicazione vengono ancora i brividi ad ascoltare un pezzo evocativo e fiabesco come “Lavender” con Fish superlativo, a godere delle prodezze chitarristiche di Rothery in “Heart of Lothian”, a lasciarsi cullare dalle melodie ad ampio respiro di “Blind Curve”, dal rock brioso di “Lords of the Backstage” o degli effluvi psichedelici di “Brief Encounter”, l’ouverture del brano “Bitter Suite” con ancora Fish abile nel recitare il testo come una poesia; stupisce sempre il pathos di “Childhood's End?”, forse il brano con più reminiscenze Genesis.
Il popolo degli eighties non poté non prendere atto della grandezza di un album che divenne così una stratosferica realtà di successo. La storia poi la conosciamo: Fish abbandonò la band nel 1988 per approdare alla sua carriera da solista, sostituito da Steve Hogart e la band ha proseguito la sua longeva e prolifica strada, che la vede ancora oggi protagonista dell’universo prog e sempre artefice di una incessante attività live. “Misplaced Childhood” rimane tuttavia come uno dei momenti più fulgidi del neo-progressive, degno di figurare tra gli album più importanti nella storia del genere.
BAND:
Fish voce / Steve Rothery chitarre / Pete Trewavas basso / Mark Kelly tastiere, sintetizzatore, piano / Ian Mosley batteria, percussioni