Premiata Forneria Marconi "Chocolate Kings" (1975)
Track list:
1) From Under 2) Harlequin 3) Chocolate Kings 4) Out of the Roundabout 5) Paper charms





Una delle maggiori doti di un gruppo come la Premiata Forneria Marconi è stata la coerenza nel portare sempre avanti un messaggio originale e coraggioso. Mai cullarsi sugli allori: questa band avrebbe potuto vivere di rendita sui fasti del capolavoro “Storia di un Minuto” ed invece ha ampliato sempre il suo raggio d’azione, spingendo le potenzialità e abbracciando una sorta di miscellanea comprensiva di più generi, non circoscritta alle sole peculiarità del prog.
La chiave di volta? L’entusiasmo. La passione audace nel cercare nuove possibilità e soluzioni sonore per interpretazioni sempre diverse con un gusto spiccato per la ricerca e contaminazione di generi. Ciò anche in virtù del desiderio di spostarsi costantemente “in giro per il mondo”, non fermarsi alle nostre sponde o a quelle europee, ma allargare i propri confini sino ad incontrare le sonorità di oltreoceano. Una sorta di cosmopolitismo musicale, incoraggiato anche dai successi nelle tournée americane, che raccontano di come questo gruppo abbia saputo costruirsi una fama che va oltre ambienti circoscritti, facendosi ben conoscere proprio negli States, in Canada ed in oriente (in Giappone PFM è letteralmente venerata).
Da un lato questo spingeva verso continue rimodulazioni di un progetto sempre pronto ad evolversi, gli echi dei primi ’70 raccolti e custoditi in ogni loro forma e una band disposta a sacrificare l’aspetto commerciale per proporre una musicalità intraprendente ed innovativa, un segnale di grande libertà artistica, che sarà ancora più marcata con il successivo album “Jet Lag”.
“Chocolate Kings”, di cui si festeggiano in questo periodo i cinquant’anni dall’uscita, nasce con questi presupposti, una ventata di freschezza nell’universo prog, qualcosa che al momento della pubblicazione forse nessuno si aspettava da questo gruppo, e che stupisce proprio per questo. La band, nonostante il successo, percepisce la mancanza di un cantante di ruolo. Franz Di Cioccio principalmente, ma anche Mauro Pagani e Franco Mussida, si erano ben cimentati con il canto, tuttavia forse, anche l’esigenza di proporre un disco interamente in lingua britannica, aumenta il legittimo desiderio di contattare un vocalist effettivo. Il ruolo alla Phil Collins dello stesso Di Cioccio, forse lo relegava in parte a sacrificare parte del suo talento dietro le pelli della batteria in un momento di incredibile elettricità compositiva.
Ecco allora arrivare nel gruppo il cremonese Bernardo Lanzetti, una delle voci più significative del prog nostrano, proveniente da un’altra eccellenza del genere, gli “Acqua Fragile”; timbro quasi lirico, capace di acuti ed estensioni incredibili. Subito si sprecano gli accostamenti con Peter Gabriel. In realtà, Lanzetti, pur ricordando in certi momenti l’ex Genesis, ha uno stile personale e caratteristico contraddistinto da robustezza e calore.
I precedenti lavori della band “L’isola di Niente” e “Per Un Amico” avevano come costante i testi in italiano, poi tradotti nelle versioni estere (“The World Became The World” e “Photos of Ghosts”) dal celebre compositore Peter Sinfield; qui il taglio con il passato è netto e si opta per le liriche in inglese, tra l’altro interpretate magistralmente da Lanzetti, che avendo vissuto a lungo negli States canta benissimo in questa lingua. È la stessa formazione a scriverli, con il supporto della cantautrice statunitense Marva Jan Marrow, all’epoca compagna del bassista Patrick Djivas.
Il disco sprizza dinamismo e creatività: è sicuramente più ruvido nei suoni, miscellanea articolata di prog, jazz, rock’n ‘roll, climi mediterranei e qualche spunto West Coast. La coesione strumentale è notevole, con le tastiere di Premoli e le chitarre di Mussida al proscenio, ma l’artigianalità e la verve di Pagani brillano in ogni pezzo, grazie a spunti violinistici di rara bellezza, il tutto supportato saldamente dalla ritmica di Djivas e Di Cioccio. Lanzetti (The Vox) esibisce in ogni brano la sua luminosa vocalità. Perle assolute “From Under” dalla solida struttura, le atmosfere evocative di “Out of the Roundabout” e la cavalcata rock di “Harlequin”.
Nonostante tutte le premesse sopra menzionate, l’album non ricevette in madrepatria e negli States l’accoglienza che avrebbe meritato e che gli fu invece tributata in altri paesi. I testi, critici verso alcuni aspetti del consumismo americano, senza tuttavia demonizzarli e privi di riferimenti politici, mettevano in risalto anche prospettive stimolanti e una riflessione costruttiva, ma il messaggio non fu forse compreso appieno e finì per irritare buona parte dei fan americani e italiani. Il disco ne pagò le conseguenze, facendo perdere negli USA l’appeal che la band si era orgogliosamente conquistata attraverso un solido impegno. A questo si aggiunse dopo la pubblicazione dell’opera, l’abbandono dello stesso Mauro Pagani, forse stanco del continuo peregrinare da un continente all’altro e pronto a intraprendere un percorso da solista.
Tuttavia “Chocolate Kings”, rimane un disco di grande pregio, forse una delle ultime vere realizzazioni prog del gruppo e il tempo ne ha rivalutato l’effettivo valore, non scalfendo l’efficacia di una musicalità così eclettica. È un album che si lascia a tutt’oggi ascoltare con gradevolezza, e che non può, a mio avviso, non figurare nella discografia sia degli amanti del prog che di tutta la collettività innamorata del rock genuino.
Una nota curiosa: l’opera fu pubblicata in tre edizioni: una per il mercato italiano dalla Numero Uno, la seconda nel Regno Unito dalla Manticore Records (la label di EL&P), mentre per gli Stati Uniti se ne fece carico Asylum Records.
BAND:
Franz Di Cioccio batteria, percussioni, voce / Franco Mussida chitarre, voce / Mauro Pagani flauto, violino, voce / Flavio Premoli tastiere, pianoforte, organo Hammond, moog, mellotron / Patrick Djivas basso / Bernardo Lanzetti voce solista, chitarra ritmica